Pare dimostrato che nell'Hashimoto vi sia un maggiore rischio/predisposizione di tumore tiroideo in generale, ma soprattutto di linfoma primitivo.
Il linfoma primitivo della tiroide, infatti, è una neoplasia mesenchimale molto rara nell'ambito della patologia tiroidea maligna (circa 300 casi descritti in letteratura), con una frequenza che va dallo 0,6 al 2-2,5% e che nell'80% dei casi insorge su tiroiditi di Hashimoto; rappresenta un esempio di localizzazione extralinfonodale di tale affezione neoplastica. |
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E' più frequente nel sesso femminile, contrariamente al linfoma sistemico che è più frequente nel sesso maschile.
La maggior parte dei linfomi sono di tipo Non-Hodgkin, con istotipo più frequente istiocitario secondo la classificazione di Rappaport, talvolta difficilmente distinguibili dal carcinoma tiroideo a piccole cellule e si caratterizzano per l'invasione linfocitaria massiva della ghiandola, con sovvertimento di tutte le strutture architettoniche follicolari che la compongono.
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La diffusione extratiroidea è il principale fattore prognostico sfavorevole nel linfoma primitivo della tiroide. In presenza di tale diffusione extraghiandolare, la sopravvivenza a 5 anni si riduce infatti dal 86% al 38%. In caso di metastasi la sopravvivenza a 5 anni è inferiore al 5 % dei casi.
Proprio a causa della sua rarità il linfoma della tiroide è una patologia di difficile diagnosi, sia da un punto di vista clinico che istologico.
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La predominanza nel gentil sesso, la storia clinica di un rapido incremento volumetrico tiroideo, la localizzazione frequente ad un solo lobo, la presenza di linfadenopatia laterocervicale, la ev. insorgenza di disfagia, disfonia, dolore anterocervicale e i segni di compressione tracheale sono sintomi che ci devono fare insospettire, ma purtroppo generici e comuni ad altri tipi di malattie tiroidee. |
Di importanza fondamentale è l'accertamento della primitività tiroidea del linfoma e la differenziazione dalle tiroiditi linfocitarie di Hashimoto.
La tiroidite di Hashimoto è stata chiamata in causa quale possibile precursore, quasi una tappa obbligata, del linfoma maligno.
Le cellule linfoidi "attivate" dagli antigeni del tessuto tiroideo, ad un certo punto del loro ciclo vitale, evolverebbero verso forme immature linfoblastiche, dando origine in un tempo variabile più o meno lungo, al linfoma.
Tuttavia, la presenza di pregressa tiroidite di Hashimoto, in base alle attuali conoscenze, non proverebbe in maniera certa la conseguenzialità tra le due patologie, nonostante la nota ed importante predisposizione a sviluppare linfomi o altre malattie neoplastiche in tutti i pazienti affetti da malattie autoimmunitarie in genere.
Il rapporto invece che intercorre tra la tiroidite autoimmune di Hashimoto ed il carcinoma papillifero della tiroide non è ancora molto chiaro.
La letteratura scientifica ad oggi è controversa, ed i rapporti tra queste due entità nosologiche sono ancora da chiarire, anche se pare dimostrata una certa associazione tra queste due entità.
In altri termini non è ancora possibile stabilire se la tiroidite di Hashimoto preceda l'insorgenza della neoplasia papillifera della tiroide, favorendone l'insorgenza, o sia reattiva ad essa oppure, se queste due entità anatomo-cliniche, siano indipendenti l'una dall'altra.
Alcuni sostengono comunque che tra le condizioni che contribuiscono ad aumentare il rischio di sviluppare un carcinoma tiroideo ci sia proprio la tiroidite di Hashimoto.
E' stato osservato infatti che chi è affetto da carcinoma papillifero della tiroide ha una più alta probabilità di produrre un'infiltrato tiroiditico peritumorale in circa il 26% dei casi con elevazione modesta degli AbTPO e AbTg nel 32% dei pazienti.
Di contro però, un recente studio dell'Università del Wisconsin, dimostrerebbe un rischio maggiore di sviluppare il carcinoma papillifero nei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto e soprattutto se di sesso femminile. In tal senso depongono anche gli studi di Patrizi, Fiengo et al dell'Università "La Sapienza" di Roma. Tali autori hanno verificato la frequente coesistenza di tiroidite nel contesto di un'altra patologia neoplastica.
Anche secondo un altro studio di Consorti F. ed altri effettuato nel 2010, i pazienti con tiroidite cronica linfocitaria con presenza di noduli, hanno un rischio aumentato di 1,6 volte di sviluppare un carcinoma papillifero della tiroide. Inoltre, questi pazienti sviluppano più frequentemente carcinoma papillare della tiroide "multicentrico" e, di conseguenza, la tiroidectomia totale andrebbe sempre presa in considerazione.
Infine arrivano segnalazioni di una associazione, ancora tutta da spiegare, tra tiroidite di Hashimoto e tumori del colon, seno, utero e prostata.
In particolare il Dr. Matozza, oncologo di Buenosaires, ha segnalato nell'ultimo anno di avere riscontrato oltre 70 casi di tiroidite di Hashimoto associata a tumori di mammella, ovaio, colon-retto, polmone, fegato, stomaco, utero, linfomi e leucemia.
Sempre dell'autore italo-argentino e della Dott.ssa Ortiz sono gli studi di grafologia che documenterebbero che i pazienti oncologici sono simili per personalità ai pazienti affetti da malattie autoimmuni ed in particolare da tiroidite di Hashimoto con personalità caratterizzata da auto esigenza, perfezionismo, eccessiva dedizione al lavoro etc. Numerosi sono anche i lavori che documenterebbero nei pazienti affetti da Hashimoto la presenza di depressione mascherata.
Secondo un altro lavoro dei Dottori Kunihito e Nobuhiro di Tokyo l'incidenza di cancro al seno per il gruppo indice, anche se non per gruppi di controllo, è risultata significativamente superiore a quello previsto dai dati per la popolazione generale, suggerendo che i pazienti con tiroidite di Hashimoto sono una popolazione ad alto rischio per il cancro al seno.
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Ne deriva perciò la necessità che tutti i pazienti affetti da tiroidite autoimmune si sottopongano periodicamente ai dovuti controlli clinico-endocrinologici ed ecografici del collo ed effettuino gli screening di prevenzione oncologica previsti per l’età o su eventuale sospetto clinico specifico con dosaggio dei markers tumorali (Ca 125, Ca19.9, Ca15.3, CEA), visite senologiche e ginecologiche periodiche e con mammografie dopo la menopausa, al fine di pervenire ad una diagnosi e terapia precoce di eventuali neoplasie sovrapposte che, prese in tempo, possono esitare in guarigione. |