Istologicamente è caratteristica la marcata e diffusa infiltrazione linfocitaria della ghiandola tiroidea e per
questo Hashimoto la definì "struma linfomatoso".
Inoltre, in pazienti con tiroidite di Hashimoto, l'analisi in vitro degli infiltrati linfocitari intratiroidei, ha dimostrato un'abbondante presenza di linfociti T CD4 Th1 e CD8, capaci di produrre elevati livelli di IFN
gamma e TNF alfa e dotati di capacità citotossica.
E' stato altresì dimostrato che la gran parte dei linfociti T intratiroidei autoreattivi specifici per la tireoperossidasi (TPO) sono di tipo Th1, mentre quelli specifici per il recettore del TSH possono essere di
tipo Th0.
La variante ossifila della tiroidite si caratterizza per la prevalenza di cellule di Askanazy e di infiltrazione linfocitaria rispetto alla variante fibrosa in cui prevale appunto la fibro-atrofia ghiandolare con infiltrato prevalentemente plasmacellulare.
Tuttora la dizione di tiroidite di Hashimoto viene riservata ai casi con ipertrofia ghiandolare tiroidea e positività autoanticorpale con o senza ipotiroidismo.
E' una patologia autoaggressiva che porta nel tempo alla distruzione autoimmune del parenchima ghiandolare con evoluzione graduale in ipotiroidismo clinico sintomatologico ed ormonale. Quasi mai necessita di trattamento chirurgico tranne che nei rarissimi casi di variante "dolorosa" di tiroidite autoimmune e nei casi di degenerazione nodulare maligna. A tal proposito, ancora controversi risultano gli
studi che dimostrerebbero un'aumentata incidenza di neoplasie maligne (linfomi) in corso di tiroidite
autoimmune. Altra variante è la tiroidite autoimmune post-partum, che esordisce subito dopo il parto, con
ipertiroidismo transitorio, seguito da ipotiroidismo e successivo frequente ritorno ad una funzione
ghiandolare normale.
La diagnosi si fonda sul riscontro degli autoanticorpi tiroidei elevati a titolo diagnostico e sull'esame ecografico che, in mani esperte, è diagnostico di malattia autoimmune tiroidea evidenziando la caratteristica "ipoecogenicità parenchimale a zolle", talvolta con aspetto pseudo-nodulare, espressione di
cronico e progressivo danno autoimmune ghiandolare.
Più semplicemente, la tiroide assume ecograficamente un caratteristico aspetto maculato "a pelle di leopardo".
Nelle forme più severe ed avanzate di tiroidite autoimmune l'ecografia può evidenziare una ghiandola tiroidea completamente scura (pattern dark gland), svuotata dalle strutture follicolari, oppure, una tiroide
atrofica ad evoluzione fibrotica iperecogena.
Più elevato è il titolo degli anticorpi anti-tiroide, maggiore è l'aggressività autoimmune della malattia e più alta è la probabilità di evoluzione in ipotiroidismo.
Gli anticorpi AbTPO infatti, oltre ad essere gli anticorpi specifici per la diagnosi di Hashimoto, hanno anche
valore predittivo, assieme all'elevazione del TSH, per l'eventuale progressione in franco ipotiroidismo:
pazienti con AbTPO tra 1:100 e 1:200 sviluppano ipotiroidismo nel 23%, tra 1:490 e 1:800 nel 33%, maggiori
di 1:800 nel 53% dei casi.
E' una malattia che diagnosticata precocemente e seguita nel tempo ha un'ottima prognosi. Può decorrere
clinicamente silente per anni anche con debole positività autoanticorporale.
Se non curata al momento giusto porta all'ipotiroidismo clinico sintomatologico con insorgenza di astenia,
depressione, incremento ponderale, alterazioni mestruali, secchezza della pelle con aumento delle rughe,
cadute dei capelli, perdita di memoria, facile faticabilità, aumento del colesterolo nel sangue, anemia etc. e
al gozzo compensatorio (aumento volumetrico della ghiandola tiroidea).
Nella maggior parte dei casi è a trasmissione familiare (correlazione con gli aplotipi HLA B8 DR3 e HLA DR5)
e ad esserne colpiti sono principalmente i parenti di 1° grado e di sesso femminile (figlie femmine, sorelle,
madri, zie).
Pertanto è utile lo screening dei familiari di 1° grado e di sesso femminile dei pazienti affetti da tiroidite
cronica autoimmune di Hashimoto per l'ev. individuazione e cura precoce dei componenti affetti.
La terapia consiste nel trattamento sostitutivo con levotiroxina (l'ormone prodotto dalla ghiandola tiroidea)
con dosi che vanno calibrate sul singolo paziente, tenendo conto dell'età, del peso, dell'ecografia e delle
eventuali patologie associate (ipertensione, cardiopatia, osteoporosi, s. ansiosa, etc.).
L'ormone tiroideo (levo-tiroxina), in compresse o in capsule gel, va assunto preferibilmente la mattina a
digiuno e comunque almeno a 30 minuti di distanza dalla colazione. Le formulazioni liquide invece possono
essere assunte immediatamente prima della colazione senza dovere attendere per la colazione.
Tale accorgimento permette un assorbimento ottimale dell'L-T4 che in media è del 75% della dose somministrata.
Il caffè ed il succo o la spremuta di pompelmo hanno un effetto di sequestro dell'ormone tiroideo, compromettendo il suo ottimale assorbimento e pertanto vanno assunti almeno a tre ore di distanza dall'assunzione dell'Eutirox o Tirosint cpr.
Vi sono condizioni patologiche particolari che comportano diarrea e/o malassiorbimento intestinale come
la celiachia, ma soprattutto l’intolleranza al lattosio, che richiedono dosi elevatissime di ormone tiroideo
per la correzione dell'ipotiroidismo, sino a 900 mcg/ die nel caso dell'intolleranza al lattosio.
Pertanto in caso di mancato compenso di un ipotiroidismo con dosi elevate di ormone tiroideo bisogna
sempre sospettare la coesistenza di sindrome da malassorbimento o di intolleranza al lattosio ed effettuare
gli accertamenti necessari per escluderli (test dell'idrogeno espirato o "breath test al lattosio", abtTG, AGA,
EMA).
Altre patologie che comportano malassorbimento dell'L-T4 sono la S. di Crohn e le gastriti.
Anche l'assunzione di alcuni farmaci può interferire negativamente con l'assorbimento della levo-tiroxina
che pertanto va assunta almeno a tre ore di distanza.
I farmaci con la più alta interferenza con l'assorbimento dell'ormone tiroideo sono:
- il sucralfato (sucralfin, antepsin),
- l'omeprazolo (omeprazen) e derivati,
- l'ezetimibe,
- il carbonato di calcio,
- l'idrossido di alluminio (maalox),
- il sevelamer,
- la simvastatina (sivastin, etc),
- la colestiramina (questran),
- il cromo picolinato,
- i sali ferrosi (ferrograd, etc),
- la crusca e le fibre.
L'esame principale che depone per l'inizio dell'insufficienza funzionale tiroidea è il TSH (ormone tireotropo
prodotto dall'ipofisi) che, quando si eleva al di sopra del limite massimo di 3,5 mcU/ml, fa porre diagnosi di
ipotiroidismo sub-clinico, anche se con iniziale normalità degli ormoni tiroidei FT4 ed FT3.
Il dosaggio periodico del TSH ci consente il corretto follow-up della malattia e ci permette di variare periodicamente la dose di ormone tiroideo da somministrare.
Il range di sicurezza del TSH sotto trattamento, tale da garantire il riposo funzionale della tiroide malata, ma tale
da evitare effetti collaterali cardiovascolari, metabolici, osteoporotici e al sistema nervoso, è compreso tra 0,60 e 1 mcU/ml, anche se la dose va calibrata sempre sul singolo paziente, sulla base anche della
tollerabilità individuale.
La terapia con tiroxina può però demodularsi per la progressione della malattia, per variazioni importanti
del peso corporeo o per eventuale insorgenza di gravidanza che necessita quasi sempre aumento
posologico di circa il 30% dell'ormone tiroideo somministrato, pena il rischio di ipotiroidismo e di minacce
di aborto.
Elevata è l'associazione sincrona o metacrona tra la tiroidite di Hashimoto con altre malattie autoimmuni di
altri organi ed apparati (psoriasi, vitiligine, diabete, alopecia, iposurrenalismo, piastrinopenia, sindrome di
Sjiogren, rettocolite ulcerosa, lupus, artrite reumatoide, menopausa precoce, etc.) che devono essere
prontamente diagnosticate e trattate. Ed inoltre frequenti sono le forme di tiroidite autoimmune "iatrogene", slatentizzate dalla terapia con amiodarone per il trattamento di aritmie cardiache, con litio per
le sindromi maniaco-depressive e con interferone per la terapia delle epatiti HCV positive.
Da ciò ne scaturisce la necessità di un corretto e periodico follow-up clinico-ecografico ed ormonale della
malattia che, ben trattata e seguita nel tempo, non comporta alcun problema di salute per i pazienti affetti,
quoad vitam e valetudinem.