L'ipotiroidismo nell'anziano è un importante problema di salute pubblica, se si considera che il 17,5% degli
ultrasettantacinquenni ha un TSH aumentato pur con livelli di T3 e T4 nella norma.
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Su casistiche autoptiche di tiroidi di persone anziane si è riscontrata un'incidenza di tiroiditi autoimmuni nel 45% di donne over 60 anni rispetto al
22% delle donne under 40 anni.
Se poi riflettiamo sull'incremento progressivo dell'aspettativa di vita che è passato da 68,3 anni per i maschi e 73,5 anni per le donne nel 1968 agli attuali 77,3 anni per l'uomo e 83 anni per le donne e che, stante alle ultime proiezioni demografiche, per gli attuali quarantenni l'aspettativa di vita potrebbe arrivare a 83,3 anni per gli uomini e 88,8 per le donne, ne è derivato che già nel 2015 l’ 8,5% della popolazione era costituito da persone
con età > di 65 anni.
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Entro il 2030, la popolazione over 65 anni dovrebbe raggiungere 1 miliardo di unità, pari al 12-13% della popolazione totale, e per la prima volta nella storia, le persone di età pari o superiore a 65 anni saranno più numerose dei
bambini sotto i 5 anni. Il maggior contributo numerico all’incremento demografico della popolazione anziana è fornito dai soggetti con età ≥85 anni e tale numero è destinato a crescere a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita.
In pratica anche per noi Okinowa, l'isola giapponese dei centenari, non è molto lontana.
Pertanto, la sanità nazionale e internazionale dovrà interrogarsi sull'utilità di uno screening dell'ipotiroidismo negli ultrasettantacinquenni così come in atto si pratica ai neonati.
L’ipotiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da un’insufficiente produzione/azione degli ormoni
tiroidei a livello tissutale. L’ipotiroidismo subclinico è caratterizzato da un incremento del TSH associato a
normali concentrazioni delle frazioni libere degli ormoni tiroidei e può essere negli anziani di grado lieve
(TSH 4,1-10 mcU/ìml) o grave (TSH ≥10 mcU/ml), mentre l’ipotiroidismo manifesto o scompensato descrive una condizione più grave, in cui le concentrazioni sieriche degli ormoni tiroidei liberi sono al di
sotto del range di riferimento.
Dal punto di vista epidemiologico la prevalenza dell’ipotirodismo aumenta con l’età, con il 2% circa degli adulti di età superiore ai 65 anni affetti da ipotiroidismo conclamato. La prevalenza di ipotiroidismo subclinico negli adulti di età superiore ai 65 anni si aggira, invece, intorno al 14%, assumendo 4,5 mIU/L come limite superiore della norma per il TSH.
Dal punto di vista fisiopatologico il TSH tende fisiologicamente ad aumentare con l’età. Gli studi riportati
in letteratura concordano sul fatto che tale aumento non rifletta l’aumento della prevalenza della disfunzione
tiroidea con l’invecchiamento. È stato ipotizzato che lo “shift” del TSH a livelli più alti possa riflettere la
diminuita sensibilità dell’ipofisi al feedback negativo esercitato dagli ormoni tiroidei, la diminuzione dell’attività biologica della molecola del TSH o della sensibilità della ghiandola tiroidea alla sua azione.
In base a queste evidenze, è stato proposto, da più autori, di adottare per il TSH un range di riferimento
specifico per età, al fine di evitare che i pazienti vengano classificati erroneamente come affetti da
disfunzione tiroidea subclinica, con conseguente sovrastima potenziale della prevalenza di tale condizione
nella popolazione anziana.
Sebbene tali limiti di riferimento del TSH differenziati per popolazioni specifiche per età non siano abitualmente ed attualmente utilizzati per diagnosticare la disfunzione tiroidea negli anziani, sulla base delle attuali evidenze riportate in letteratura, in soggetti con età compresa tra i 70 e gli 80 anni, è ragionevole mantenere il TSH sierico su un obiettivo compreso tra 4 e 7 mIU/L.
Anche le linee guida dell’European Thyroid Association propongono un obiettivo terapeutico più elevato
per il TSH sierico nei pazienti più anziani (>70-75 anni) rispetto agli adulti più giovani.
Come riportato dalle linee guida ETA e da altri studi pubblicati recentemente, al fine di affrontare il processo
decisionale, è necessario classificare i pazienti affetti da ipotiroidismo subclinico per età. Un approccio
attendista con un attento monitoraggio della funzione tiroidea viene proposto in pazienti molto anziani (> 85
anni), evitando la terapia sostitutiva, specialmente in presenza di un TSH <10 IU/L. Sono suggeriti due diversi
algoritmi di gestione per gli individui di età superiore a 70 anni: viene proposto di non trattare individui ≥70 anni in presenza di un TSH <10 IU / L, senza considerare i sintomi di ipotiroidismo, a differenza di
quanto suggerito per i giovani adulti. Per i gradi più severi di elevazione del TSH (≥10 IU/mL), il trattamento
deve essere preso in considerazione se si riscontrano chiari sintomi di ipotiroidismo e/o un elevato rischio
cariovascolare.
Mentre negli adulti più giovani è stata dimostrata un’associazione tra ipotiroidismo ed alterazioni lipidiche e
cardiache con conseguente aumento del rischio cardiovascolare, che può regredire parzialmente ad opera
della terapia ormonale sostitutiva, la maggior parte degli studi eseguiti su popolazioni anziane non ha
mostrato un’associazione così chiara, suggerendo che l’onere della lieve insufficienza funzionale tiroidea
sugli esiti cardiovascolari diventi sempre meno rilevante con l’aumentare dell’età fino alla quasi totale
estinzione nei soggetti >80-85 anni. Inoltre, l’impatto sui fattori di rischio cardiovascolari esercitato dalla
terapia sostitutiva è sostanzialmente influenzato dall’età, risultando meno evidente nella popolazione
anziana.
LA FUNZIONE TIROIDEA NELL'ANZIANO
Negli anziani, con l'avanzare dell'età, la fisiologia tiroidea si modifica gradualmente con:
- diminuita capacità di captare lo iodio;
- diminuita secrezione di ormoni tiroidei con riduzione del tasso di produzione della T4 in media di 20
mcg/die e della T3 di 10 mcg/die, ma con riserva secretoria invariata;
- ridotta clearance della T4 per decremento della massa magra e diminuita attività della 5’desiodasi
1°tipo;
- la diminuita secrezione di T4, compensata dalla sua ridotta clearance fa sì che le concentrazioni
sieriche di T4 totale e libera rimangono invariate;
- riduzione della concentrazione sierica media del TSH con, negli uomini, una riduzione della secrezione giornaliera del TSH;
- attenuazione del picco notturno del TSH;
- l'invecchiamento del sistema immunitario di per sé non provoca un deterioramento della funzione
immunitaria, tuttavia predispone ad una maggiore tendenza a sviluppare patologie autoimmunitarie con produzione di autoanticorpi anti tiroide AbTPO e AbTg responsabili dell’evoluzione in ipotiroidismo ghiandolare;
- diminuita attività della 5'desiodasi 1° Tipo con riduzione delle concentrazioni sieriche della T3 e
della reverse T3;
- la riduzione di T3 determina un calo del metabolismo proteico e una diminuzione del consumo di
ossigeno, quasi con funzione di adattamento "protettivo" nell'anziano;
- prospettata una diminuita responsività periferica con ridotta attività ormonale per meccanismi
molecolari;
- sul test al TRH per TSH nell'anziano e sulle variazioni della TBG gli studi mostrano risultati
non univoci.
I SINTOMI DELL'IPOTIROIDISMO NELL'ANZIANO, in ordine decrescente di frequenza comprendono:
- la facile faticabilità;
- l'ipersonnia;
- la secchezza della cute;
- la stipsi;
- la depressione con turbe mnestico-cognitive;
- l'intolleranza al freddo;
- l'incremento ponderale;
- i crampi muscolari;
- le parestesie;
- la lentezza dei riflessi.
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L'ETIOLOGIA più frequente è rappresentata dalla tiroidite autoimmune di Hashimoto, o tiroidite linfocitaria,
seguita dall'ipotiroidismo iatrogeno, da quello farmacologico e da patologie ipotalamo-ipofisarie.
LaTERAPIA NELL'ANZIANO deve essere valutata caso per caso, in rispetto delle linee guida prima citate e,
se si decide di instaurarla deve essere graduale e progressiva ed osservare la regola del "parti lento e vai
piano". Infatti, una correzione troppo cruenta e rapida dell'ipotiroidismo può determinare un aumento del
consumo di ossigeno con il rischio di provocare un’angina o slatentizzare una sottostante cardiopatia
ischemica.
D'altro canto, secondo uno studio compiuto da ricercatori del Leiden University Medical Center in Olanda ha
prospettato l'ipotesi che "alti livelli di tireotropina potrebbero aumentare la sopravvivenza nelle
persone molto anziane".
Secondo tale studio prospettico di popolazione, che ha riguardato circa 600 persone seguite per quasi 4 anni,
bisogna essere prudenti nel trattare gli anziani con ipotiroidismo sub-clinico.
Infatti, sempre secondo tale ricerca olandese, un aumento di 2,71 mlUI/L nei livelli di TSH era associato ad
una riduzione della mortalità del 23%; di contro per ciascun aumento di 0,21 ng/dL dei livelli di tiroxina libera
si è osservato un aumento del rischio di mortalità del 16% (JAMA 2004).
I dati, se confermati, significherebbero che nei pazienti anziani la correzione di un ipotiroidismo sub-clinico
deve essere valutata caso per caso ed effettuata in casi selezionati e con dosi tali da mantenere il TSH in un
range di sicurezza per evitare effetti collaterali di tipo cardiovascolare.
In realtà il trattamento dell'ipotiroidismo sub-clinico andrebbe riservato solo a pochi casi selezionati con
sintomi evidenti di ipotiroidismo, con positività degli autoanticorpi AbTPO e/o AbTg e alterazioni
dell'assetto lipidico anch’esse importanti.
Inoltre vi è indicazione al trattamento se compaiono segni elettrocardiografici tipici di ipotiroidismo: appiattimento o inversione dell'onda T, riduzione diffusa dei voltaggi, anomalie della conduzione (blocco di
branca destro).
L'indicazione diventa ancor più rafforzata in presenza di segni e sintomi cardiovascolari di potiroidismo
(cuore ipodinamico): bradicardia, polso debole, tardo, itto ridotto, aia cardiaca ingrandita con toni cardiaci
parafonici, versamento pericardico etc.
A favore del trattamento depongono inoltre, quando presenti, le tipiche anomalie del metabolismo lipidico
(ipercolesterolemia pressoché costante), ipertrigliceridemia (più rara), ridotta mobilizzazione di acidi grassi,
che rappresentano un riconosciuto fattore aterogenetico (almeno nell'ipotiroidismo conclamato) per vari
distretti arteriosi compreso quello coronarico. Tutto ciò però sembra essere vero per i soggetti giovani edè meno influente con il progredire verso le età anziane piu elevate.
Tale rischio era stato proposto anche per l'ipotiroidismo sub-clinico ma i dati in letteratura sono a riguardo
contrastanti ed il gioco non vale la candela. Spesso si tratta di paziente fragile con aspettativa di vita breve
e pertanto spesso è meglio procrastinare la terapia con LT4 o darla a dosaggi bassi “pediatrici”.
Inoltre se la terapia con L-T4 può nell'anziano aumentare il consumo di Ossigeno e determinare aumento
del rischio di angina (effetto inotropo e cronotropo positivo della T4 con aumento dei Beta
recettori cardiaci e aumentata sensibilità tissutale alle catecolamine, aumento velocità di circolo etc.), allo
stesso modo un ipotiroidismo sub-clinico, significativo sul piano clinico e metabolico, può determinare ipossia miocardica per i noti effetti benefici della levo-tiroxina, che viene a mancare, sul cuore: stimolo della sintesi della miosina (isoenzima V1), dell’ATPasi sarcoplasmatica e di membrana e del
fattore natriuretico atriale. Pertanto, se trattare o meno un paziente anziano è un problema non
indifferente per l'endocrinologo e per il cardiologo che, caso per caso, devono valutare rischi e benefici
dell’eventuale terapia tiroxinica.
Come accennato in precedenza, la somministrazione di ormone tiroideo deve essere comunque cauta nelle
dosi e nella progressione posologica sino al raggiungimento della dose ottimale.
Il farmaco di scelta è la L-tiroxina che, di regola consente una valida sostituzione della funzione ghiandolare
alla dose di 1,5-1,8 mcg/kg di peso corporeo.
Di solito si inizia con dosi di attacco molto basse di 12,5-25 mcg die, aumentando di altrettanti 12,5-25 mcg
ogni 2-4 settimane, monitorando eventuali ripercussioni cardiovascolari indotte dall'eventuale incremento
della gittata sistolica sull'efficienza miocardica e sulla riserva coronarica.
In alcuni casi può essere necessario lasciare per lungo periodo il paziente in una condizione di lieve ipotiroidismo per evitare appunto la riesacerbazione di attacchi anginosi o di tachiaritmie.
Utile anche, iniziato il trattamento, il controllo degli enzimi epatici AST, ALT, CPK MB, LDH etc. e
delle lipoproteine aterogene.
Quale deve essere il valore del TSH oltre il quale iniziare il trattamento e quale deve essere il range di sicurezza entro cui mantenere il TSH durante terapia con levo tiroxina per fasce d'età è motivo attuale di
controversie e dipende dall’esperienza del singolo specialista e comunque va sempre calcolato sul singolo
paziente, tenendo conto della risposta individuale e di eventuali altre patologie sottostanti cardiovascolari,
respiratorie etc. e della eventuale situazione di più o meno grave “fragilità”.
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