(OPDIVO, KEYTRUDA, YERVOY E TIROIDE)
Il nivolumab (OPDIVO) e il pembrolizumab (KEYTRUDA) e l'ipilimumab (YERVOY) appartengono a un gruppo di farmaci definiti “inibitori dei check point immunitari”.
Questi farmaci agiscono stimolando il sistema immunitario affinché le cellule tumorali vengano distrutte.
Gli effetti collaterali di questi farmaci sono causati dal sistema immunitario stesso, che attacca i normali organi e tessuti del corpo potendo causare problemi di salute anche gravi o potenzialmente letali.
Più precisamente l’immunoterapia oncologica ha lo scopo di indurre una risposta delle cellule T contro le cellule neoplastiche, ma può frequentemente causare numerosi effetti collaterali e disfunzioni tiroidee.
Nel nostro organismo esistono dei fisiologici e fini controlli metabolici che inibiscono l’immunità cellulo-mediata come la via CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyte-associated antigen-4) e la via PD-1/PD-1 ligando (programmed cell death protein-1).
L’immunoterapia oncologica, bloccando questi meccanismi inibitori, non fa altro che stimolare la risposta immunitaria contro la neoplasia, provocandone la necrosi.
In commercio sono al momento disponibili anticorpi monoclonali anti-CTLA-4, anti-PD-1 e anti-PD-1 ligando come terapia oncologica di soggetti affetti da melanoma, e tumori solidi come il K polmonare e renale.
Gli anticorpi monoclonali attualmente approvati per l’uso clinico-oncologico sono: l’ipilimumab, il pembrolizumab e il nivolumab.
L’uso di questi farmaci, stimola quindi la risposta immunitaria in senso anti-tumorale, causando la citolisi delle cellule tumorali, ma purtroppo è gravato da possibili e frequenti effetti collaterali favorendo l’insorgenza di malattie autoimmuni.
Le patologie autoimmuni delle ghiandole endocrine indotte da questi farmaci, possono essere: l’ipofisite, le tiroiditi, la surrenalite autoimmune che causa insufficienza surrenalica e può coinvolgere anche e raramente il pancreas provocando il diabete tipo 1 (autoimmune).
Gli effetti collaterali a carico dell’apparato endocrino, di solito, insorgono dopo circa 2 mesi di terapia con anticorpi monoclonali (ipilimumab, pembrolizumab, nivolumab), ma non sono infrequenti manifestazioni più precoci e/o più tardive.
Resta da chiarire in che modo ipofisi, tiroide e surreni diventino bersagli dell’autoimmunità associata all’uso di questi farmaci. L’intensa vascolarizzazione fisiologica di tali organi è probabilmente un fattore predisponente e sono stati descritti anticorpi anti-cellule tireotrope, corticotrope e gonadotrope. Inoltre, Iwama e coll. hanno recentemente riportato come l’ipofisi stessa possa esprimere CTLA-4, diventando così un bersaglio dei farmaci diretti contro questa molecola.
Il 15-20 % dei pazienti in immunoterapia oncologica sviluppa una tireopatia.
Tuttavia le percentuali possono variare a seconda del farmaco, dell’associazione tra più farmaci, della dose impiegata e del tipo di tumore che viene trattato.
Per esempio, l’ipilimumab ha un’incidenza di tiroidite del 7% circa, ma aumenta in associazione alla terapia adiuvante con bevacizumab (19%). In associazione con il nivolumab, l’incidenza dell’ipotiroidismo arriva al 22% e dell’ipertiroidismo al 10% per la terapia del melanoma, con percentuali decisamente inferiori per il carcinoma polmonare non a piccole cellule e il carcinoma renale.
L’incidenza di tireopatia con il tremelimumab è circa il 4%, mentre con il nivolumab è circa il 4.5% (per ipotiroidismo e ipertiroidismo), ed il 9% (per la tiroidite autoimmune). L’incidenza di tireopatia riportata con il tremelimumab, infine, è circa il 7%.
Possono verificarsi anche tireotossicosi transitoria, ipotiroidismo transitorio o definitivo, oftalmopatia tiroidea, tiroidite silente, peggioramento di pre-esistente tireopatia autoimmune e, raramente, forme gravi come tempesta tiroidea ed encefalopatia di Hashimoto responsiva agli steroidi. Più spesso si tratta di forme lievi di tiroidite silente su base autoimmune.
Per una corretta diagnosi differenziale tra le varie forme è necessario eseguire sempre un’ecografia tiroidea e lo studio funzionale ed autoanticorpale tiroideo completo.
La presenza di tiroidite autoimmune non costituisce controindicazione all’immunoterapia oncologica con questa classe di farmaci, ma è raccomandato un monitoraggio più stretto della funzione tiroidea.
Il trattamento delle disfunzioni tiroidee indotte dall’immunoterapia oncologica è quello previsto dalle linee guida vigenti per ciascuna patologia riscontrata.
E’ importante ricordare, tuttavia, che a differenza di quanto avviene solitamente, in caso di tireopatie insorte durante un trattamento con immunomodulatori è consigliato un follow-up più stretto con controllo clinico e del quadro ormonale tiroideo a intervalli più ravvicinati (anche ogni 40 giorni e poi ogni 2 mesi) ed ecografici ogni 4-6 mesi.
BIBLIOGRAFIA
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AME flash n.1 Gennaio 2017
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