Il Litio (dal greco "lithos" che significa "pietra") è un elemento chimico di simbolo Li, appartenente ai metalli alcalini, che fu scoperto nel 1817 dal Dr. Johann Arfvedson.
E' usato nelle leghe conduttrici di calore (per il suo elevato calore specifico), nel materiale anodico delle batterie (per l'alto potenziale elettrochimico) e in alcuni preparati farmacologici come il carbonato di litio (Li2CO3) e il citrato di litio, per l'effetto stabilizzante sull'umore.
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Dr. Johann Arfvedson |
I sali di litio sono ancora utilizzati nella profilassi e nel trattamento della sindrome bipolare (s. maniaco-depressiva) con una posologia che va da 1-1,5 g al giorno in fase di attacco a 300 – 400 mg die come dose di mantenimento.
Il Litio viene tutt'ora considerato il farmaco di scelta nel trattamento dei pazienti con "affettività bipolare", cioè per persone che alternano fasi e periodi di tristezza e disperazione (depressione) a fasi di eccitazione ed euforia (mania).
I primi impieghi in psichiatria risalgono agli anni 40, mentre l'introduzione sul mercato risale agli anni 70. |
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I composti di litio esistono in compresse da 300 e 150 mg (Carbolithium) o da 300 mg (Litio Carbonato).
La dose somministrata deve essere tale da mantenere concentrazioni ematiche di 0,4-1 mmoli/l (dosate il 4° e il 7° giorno dall'inizio del trattamento).
Hanno un basso indice terapeutico e quindi l'uso dovrebbe essere subordinato sempre alla possibilità di dosaggi ematici periodici delle concentrazioni terapeutiche che devono essere mantenute nel range 0,4-1 mmoli/l. |
Un eventuale sovradosaggio con concentrazioni ematiche > di 1,5 mmoli/l può essere pericoloso per la salute con insorgenza di effetti colaterali quali: tremori, atassia, disartria, nistagmo, insuff. renale e convulsioni, aritmie cardiache, nausea, diarrea, vomito, aumento di peso, sonnolenza sino al coma.
In caso di sovradosaggio il farmaco va sospeso ed iniziata terapia con sali di sodio associata all'assunzione di molti liquidi.
L'utilizzo a lungo termine è stato associato a disfunzione tiroidea.
Pertanto, in corso di trattamento, andrebbero periodicamente (ogni 3-6 mesi) monitorati sia la funzionalità tiroidea (con dosaggio di TSH, FT4, FT3, AbTPO e AbTg), che quella renale.
Uno studio trasversale ed uno prospettico sulle disfunzioni tiroidee in pazienti trattati con sali di litio hanno dimostrato che l'ipotiroidismo e il raro ipertiroidismo litio-indotto, erano più frequenti nelle donne (25,8%) che negli uomini (8,7%) e aumentavano con il progredire dell'età.
Dopo il 65° anno di età il rischio di sviluppare distiroidismo nelle donne trattate con sali di litio aumentava sino ad oltre il 50%.
L'ipotiroidismo indotto dal litio si verificava nel 17% delle donne.
Nello studio prospettico 4 su 33 donne svilupparono ipotiroidismo e solo una ebbe ipertiroidismo.
Tale studio di Kirov concludeva che il rischio di ipotiroidismo litio-indotto è aumentato soprattutto nei pazienti di sesso femminile e di età superiore a 50 anni e che, di contro, il rischio di ipertiroidismo è veramente molto basso (3,8% nelle donne e 1,7% nei maschi).
Gli autori concludevano ancora che il litio non rappresenta un fattore di rischio importante per la genesi di ipertiroidismo.
La frequenza di ipotiroidismo indotto dal litio nello studio prospettico (0,27 casi/anno di follow-up) era simile a quella di studi trasversali precedenti: 0,21 casi/anno nello studio di Johnston e Eagles e 0,23 casi/anno in quello di Bocchetta e al.
Tale incidenza è comunque circa 8 volte superiore rispetto a quella di ipotiroidismo nella popolazione generale (0,035 casi /anno di follow-up) riportata nello studio di Wickam.
Ciò conferma inequivocabilmente che i sali di litio sono un fattore di rischio per lo sviluppo di ipotiroidismo primario.
I dati relativi alla eventuale familiarità per tireopatie e l'eventuale presenza di autoimmunità tiroidea precedente al trattamento con litio, invece, non sono stati sufficienti per stabilirne il loro ruolo di fattori di rischio predisponenti ed importanti per lo sviluppo di distiroidismo litio indotto.
Di certo lo studio ha dimostrato che il sesso femminile e l'età avanzata sono i principali fattori di rischio per l'eventuale comparsa di ipotiroidismo indotto dalla terapia con sali di litio.
MECCANISMI D'AZIONE DEL LITIO SULLA FUNZIONE TIROIDEA
Le possibili interferenze del litio sulla funzione tiroidea furono segnalate per la prima volta più di 30 anni fa da Schou nel 1968 e da Lazarus nel 1998, che ne descrissero l'effetto gozzigeno (nel 5% dei casi), chiarendo numerosi aspetti di tale interazione.
Il litio viene concentrato in maniera particolare dalla tiroide inibendo sia la sintesi che la
secrezione e liberazione di ormoni tiroidei.
Viene quindi considerato un fattore gozzigeno anche se di debole intensità.
Una riduzione della secrezione ormonale tiroidea si verifica nella maggior parte de pazienti trattati con litio per lunghi periodi (con un aumento del TSH sierico nel 20-30% dei casi), ma soprattutto nei soggetti affetti da coesistenza di autoimmunità tiroidea (tiroidite di Hashimoto con positività degli AbTPO e AbTg).
Il litio inoltre rallenta la degradazione della T4 ma non riduce la sintesi della T3 extratiroidea.
Non è ben chiaro invece se il litio abbia un ruolo nello sviluppo di autoimmunità tiroidea.
Comunque l'importanza clinica delle interferenze tra terapia con litio e tiroide è ancora controversa, come evince uno studio inglese che asserisce che "i tassi di ipotiroidismo nei soggetti in trattamento con sali di litio sono sottovalutati e sottostimati" (Johnston ed Eagles 1999).
In realtà ciò che non viene, di solito, valutata è la co-presenza di fattori di rischio preesistenti come la familiarità per tireopatie e la presenza di autoimmunità tiroidea (positività degli AbTPO e/o AbTg).
Sono pur tuttavia numerosi gli studi che indagano sull'associazione tra funzione tiroidea e patologia dell'umore.
Molto interessanti al riguardo sono alcune ricerche che dimostrano la comorbidità tra distiroidismo (soprattutto ipotiroidismo sub-clinico o manifesto) e disturbo bipolare a rapidi cicli.
Un lavoro del 1990 evidenzia che circa il 10-15% dei pazienti con disturbo bipolare soffre della forma a rapidi cicli e che nella metà di questi soggetti può riscontrarsi una sindrome da ipotiroidismo.
Altri studi segnalano come disfunzioni tiroidee sono più frequenti nel disturbo bipolare di tipo misto rispetto al disturbo bipolare di tipo maniacale.
Di contro anche le disfunzioni tiroidee o la semplice autoimmunità rilevata dalla presenza di AbTPO sierici (anticorpi anti-tireoperossidasi) sono state associate alla depressione bipolare a rapidi cicli.
Altri hanno ancora dimostrato che spesso il disturbo dell'umore a rapidi cicli è associato ad ipofunzione tiroidea sia in soggetti che avevano praticato terapia con litio sia in soggetti che non avevano subito trattamento.
Inoltre la psico-neuroendocrinologia evidenzia che elevati livelli basali di TSH ed una esagerata risposta allo stimolo con TRH, in assenza di terapia con sali di litio, possono correlarsi ad un disturbo bipolare a rapida ciclicità.
LITIO E TERAPIA CON RADIOIODIO
Il litio è in grado di incrementare la dose di radioiodio assorbita dal parenchima ghiandolare tiroideo.
E' stato pertanto proposto come adiuvante nel trattamento radio-ablativo con I-131 sia nelle patologie benigne tiroidee sia nel carcinoma differenziato della tiroide (DTC).
Ad oggi non è dimostrato però se l'aggiunta di litio è in grado di aumentare l'efficacia del trattamento radioiodio-ablativo con I131 nel carcinoma differenziato della tiroide.
Non meno controversi sono i pareri sul possibile meccanismo d'azione attraverso cui il litio determina un aumento della dose di radioiodio assorbito.
E' stato effettuato pertanto uno studio in vitro per studiare un possibile ruolo e interferenza del litio sul NIS (sodio-iodio-symporter).
Nonostante si è osservata un'aumentata captazione di radioiodio in 7 pazienti, non c’è stato nessun miglioramento clinico nei pazienti con DTC con metastasi né significative variazioni della tireoglobulina. Quindi lo studio concludeva per l'assenza di effetti da parte del litio sia sulla captazione che sulla dismissione dello iodio.
Pertanto si può ritenere che l'aggiunta di litio nel trattamento con I131 non sortisce alcun effetto sul decorso della malattia nei pazienti (12) con metastasi di DTC. Anche in vitro, si è dimostrata l'assenza di effetti del litio sulla captazione di I131. Pertanto il ruolo del litio nei soggetti con DTC come coadiuvante la terapia radiometabolica con iodio 131 resta ancora da chiarire.
BIOGRAFIA:
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